Strana la vita e strana Hollywood: Sean Penn, allergico allo star system, è riuscito – attraverso una carriera lunga più di quarant’anni – a diventare una delle star più pagate, e più premiate: ha vinto due Oscar come migliore attore protagonista, onore riservato a un club ristrettissimo (Marlon Brando, Gary Cooper, Tom Hanks, Dustin Hoffman, Anthony Hopkins, Spencer Tracy e Fredric March). Peraltro, l’unico ad aver fatto meglio di lui, portando a casa tre Oscar come miglior attore protagonista, è l’unico più allergico di lui al sistema: Daniel Day-Lewis.
Per questo Penn da oltre un ventennio si dedica anche alla solidarietà (oltre che alla letteratura: ha scritto un romanzo non benissimo recensito): la recitazione gli sta stretta. Nel 2010 ha fondato Core (Community Organized Relief Effort), non profit che dal terremoto di Haiti di quell’anno in poi si è attivata in varie emergenze, e durante l’emergenza Covid ha avuto un ruolo di primissimo piano nella somministrazione di vaccini in California. Ora però Bloomberg Businessweek, in un lunghissimo e documentato servizio, accusa Core di inefficienze, gestione sgangherata dei fondi, e di aver ignorato un problema di molestie. Per esempio il party di Penn al Soho Beach House, un club privato di Miami Beach, l’anno scorso durante Art Basel (c’erano Leonardo DiCaprio, Anitta e Delphine Arnault) ha raccolto 1,6 milioni di dollari per Core.
Secondo gli inviti e il materiale promozionale, i fondi raccolti sarebbero stati destinati al soccorso Covid in America Latina (un dipendente di Core ha detto a Bloomberg Businessweek che Anitta partecipò all’evento a condizione che parte del denaro andasse nel suo paese d’origine, il Brasile). Core, negli anni, ha raccolto quasi 200 milioni di dollari, ha messo più di 3.000 persone a libro paga, più della Bill & Melinda Gates Foundation; e ha co-gestito il sito di test al Dodger Stadium, tra i più grandi degli Stati Uniti, durante i giorni più bui della pandemia a Los Angeles (Core ha somministrato milioni di test e vaccini).
Secondo i documenti interni visti da Bloomberg Businessweek l’amministratore delegato Ann Lee, ha ripetutamente comunicato internamente che l’organizzazione non profit p otrebbe invece utilizzare i fondi per altri progetti, fuori dal Brasile. Trentotto dipendenti di Core sentiti dalla rivista affermano di aver dovuto passare mesi a incitare i loro capi a inviare il denaro come promesso in Brasile. Alla richiesta di chiarimenti, un portavoce di Core ha affermato che il denaro raccolto all’evento Art Basel è stato inviato alle destinazioni previste «in tutta la regione». Ma una e-mail mostra che dell’incasso dell’evento, Core non ha speso un dollaro per il Covid in Brasile.
Ha speso 90 mila dollari per pagare il suo unico dipendente nel Paese, 400 mila per «programmi» non specificati e ha trattenuto 250 mila dollari per coprire i costi generali e indiretti. Le dozzine di dipendenti sentiti dalla rivista affermano che il divario tra gli obiettivi dichiarati di Core e le sue azioni si estende molto oltre.
L’indagine di Businessweek mostra che Core ha restituito aiuti ai donatori perché non aveva personale per gestirle. Accusano anche la charity di Penn di «una gestione disinvolta di sovvenzioni federali multimilionarie» e di avere omesso informazioni sul modo in cui spende i suoi soldi nei suoi moduli fiscali». I dipendenti affermano inoltre che le accuse di violenza sessuale e molestie da parte del personale e dei partner di Core non sono state prese in considerazione, e che molti di coloro che hanno parlato hanno subito ritorsioni e poi intentato cause di lavoro.
Il chief business officer Matt O’Connell ha detto alla rivista che Core «ha affrontato adeguatamente tutte le denunce di cattiva condotta sessuale» e nega le accuse dei dipendenti secondo cui avrebbe gestito male i fondi dei donatori. Ma riconosce che l’operazione è cresciuta troppo velocemente e ha avuto problemi a gestirne le finanze: «Alcuni dei nostri sistemi di gestione all’inizio della pandemia erano insufficienti, per portata e scala, per soddisfare tutte le nostre esigenze organizzative. Certo, ci sono state inefficienze ed errori».
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