IL VIAGGIO DEL PAPA E LA GUERRA DEL COBALTO CHE INSANGUINA IL CONGO (COMPLICE PECHINO)

Il viaggio di nella ci porta nella «terra del cobalto», un metallo indispensabile per la nostra transizione a un’economia sostenibile. O almeno, così ce lo descriviamo noi. In un mondo futuro dove circoleranno solo auto elettriche – negli Stati Uniti e nell’Unione europea esistono già delle scadenze vincolanti – pensiamo che avremo abolito almeno quella fonte di CO2. In realtà l’estrazione del cobalto è una delle attività più «sporche» che ci siano. sfruttamento, lavoro minorile, abusi contro i diritti umani. La fame mondiale di cobalto è una componente delle guerre congolesi, tragico sfondo di questo viaggio di papa Francesco. Dalle violenze quotidiane delle milizie locali – spesso foraggiate dal vicino Ruanda – si teme che il conflitto possa dilagare fino a diventare una guerra nell’intera regione africana dei Grandi Laghi. Il consumo mondiale di cobalto rimase stabile fino alla fine degli anni Novanta, attorno a 20 kiloton (migliaia di tonnellate) all’anno, perché era usato prevalentemente dall’industria chimica. Poi esplose invece un altro utilizzo del cobalto, in associazione con il litio per la produzione di batterie elettriche: quelle che usiamo per i nostri laptop computer, i nostri telefonini, e sempre più grosse e potenti per le nostre auto elettriche o per immagazzinare energia solare. Pur rappresentando per adesso solo il 10% delle vendite mondiali di automobili, le batterie per auto elettriche hanno già contribuito a far schizzare il consumo mondiale di cobalto a 140 kiloton all’anno. Secondo una stima citata da Mark Mills sul Wall Street Journal entro il 2026 l’avvento di nuove fabbriche di batterie per auto elettriche farà superare la soglia dei 200 kiloton annui di cobalto. I tre quarti di tutto il cobalto mondiale provengono dal Congo, una quota – osserva Mills – più che doppia a quella che l’Opec ha nella produzione di petrolio. Questo semi-monopolio si accompagna a quello che la Cina ha nella lavorazione dello stesso cobalto: più del 70% della materia prima risultante dall’estrazione viene trasportata in Cina e lì viene trasformata per l’uso nelle batterie elettriche al litio. In tutti questi processi non c’è nulla di sostenibile: sia l’estrazione mineraria in Congo, sia la lavorazione in Cina, fanno uso di energie fossili e inquinano l’ambiente. E’ solo perché queste attività avvengono ben lontano dai nostri occhi e dai nostri polmoni, che possiamo continuare a parlare di auto elettrica associandola a un mondo de-carbonizzato e con «zero emissioni».

L’inquinamento è solo una parte del problema. Un libro-denuncia scritto dall’attivista Siddharth Kara (Cobalt Red, St. Martin’s) spiega che una parte dell’estrazione di cobalto in Congo avviene ancora usando metodi «artigianali». Questo aggettivo è un eufemismo, come spiega Siddhart Kara che è riuscito a visitare alcune di quelle miniere: migliaia di uomini, donne, bambini minorenni, estraggono a mano usando martello, pala e secchiello. Lavorano spesso in un calore infernale, dentro nuvole di polvere, e sotto la guardia di vigilantes armati. In una di queste miniere «artigianali» l’autore dell’inchiesta ha rilevato un numero ufficiale di diecimila dipendenti. Eppure nello stesso Congo esistono altre miniere industrializzate, che fanno ricorso a macchinari e risparmiano alla manodopera umana le mansioni più faticose, dannose per la salute, pericolose. Non è facile però, anzi forse è impossibile nella situazione attuale, distinguere la provenienza del cobalto che usiamo e sapere se è stato estratto con metodi moderni o «antichi». La posizione dominante della Cina in questo settore, e l’onnipresenza di imprese cinesi nelle miniere del Congo, garantisce una trasparenza pari a zero. La conclusione dell’inchiesta è angosciante, se si pensa che per star dietro alla diffusione prevista delle auto elettriche e dei pannelli fotovoltaici i consumi di cobalto nel mondo potrebbero decuplicarsi in pochi anni. Noi occidentali non sembriamo disposti ad assumerci maggiori responsabilità. Le scoperte di giacimenti minerali nei paesi ricchi – di recente importanti depositi di terre rare sono stati individuati in Svezia – vengono quasi sempre seguite da mobilitazioni «ambientaliste» che vogliono bloccare ogni attività estrattiva. Eppure da noi le miniere offrono ben altre tutele rispetto a quelle del Congo. La visita di papa Francesco avviene quindi in questo luogo benedetto e maledetto, che grazie a tesori come il cobalto, l’oro, l’uranio, eccita gli appetiti di milizie locali e dei paesi vicini, tutti attratti dal saccheggio.0 Con cento milioni di abitanti, la Repubblica Democratica del Congo è la seconda maggiore nazione africana. Il suo presidente Félix Tshisekedi in occasione del suo incontro col pontefice ha accusato il mondo di complicità «attraverso l’inazione e il silenzio». Ha detto che «in aggiunta alle milizie armate, delle potenze straniere avide delle nostre ricchezze minerarie contribuiscono alle crudeli atrocità, con la complicità diretta e codarda del nostro vicino Ruanda». Le Nazioni Unite hanno censito 120 gruppi armati in azione nelle tre provincie del Kivu settentrionale, Kivu meridionale, e Ituri. Le violenze hanno già portato alla migrazione di 520.000 profughi da marzo ad oggi. «Provoca indignazione – ha osservato papa Francesco – sapere che queste violenze sono alimentate non solo da forze esterne ma anche dall’interno, per interessi privati». La presenza di 18.000 caschi blu dell’Onu non ha impedito l’intensificarsi degli attacchi contro la popolazione civile – inclusi stupri di massa, rapimenti, stragi di bambine e bambini – al punto che ci sono state proteste contro l’Onu e richieste di ritiro di questa «forza di pace» così inefficace. Il Ruanda è accusato di sostenere il più aggressivo dei gruppi terroristici, che si fa chiamare Movimento Marzo 23 o M23. Il governo congolese accusa il Ruanda di volersi appropriare di una parte delle sue risorse naturali. La guerra del cobalto non accenna a placarsi.

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