LA BCE ALZA ANCORA I TASSI: LA PRESIDENTE LAGARDE PROMOSSA DAI MERCATI

Fino a un paio di mesi fa i mercati sembravano avere antenne solo per i messaggi restrittivi delle banche centrali, anche se loro stessi si aspettavano una recessione grave in Europa e forse anche negli Stati Uniti. Ora l’equilibrio si è rovesciato. Una caduta lunga e profonda dell’economia sembra molto meno probabile, eppure i mercati hanno antenne solo per i segnali più accomodanti dei banchieri centrali. Così nel 2022 i prezzi di azioni e obbligazioni sono crollati con gli annunci della Banca centrale europea. Ieri, 2 febbraio, è successo l’opposto: la Bce ha alzato i tassi di 0,50% fino a portare al 2,5% quelli sui depositi; e Christine Lagarde ha spiegato che continuerà ad alzarli anche dopo il mese prossimo perché «abbiamo ancora della strada da fare» per riportare l’inflazione al 2%.

Eppure, quasi che la presidente della Bce avesse annunciato la fine della stretta, i mercati finanziari hanno festeggiato. I rendimenti dei titoli di Stato italiani a dieci anni, che si muovono in senso inverso ai prezzi, sono crollati di 0,39%. Lo spread sugli omologhi titoli tedeschi si è ristretto di 18 punti a quota 182. L’euro ha perso lo 0,71% sul dollaro. E tutti i listini azionari europei sono cresciuti: più 1,5% il Ftse Mib di Milano, più 2,16% il Dax di Francoforte (entrambe tornate ai massimi da un anno), più 1,26% il Cac40 di Parigi (ben sopra i livelli di un anno fa).

È stato un passaggio del messaggio di Lagarde a riportare fiducia, e i prossimi mesi diranno se essa è eccessiva. La Bce e la sua presidente hanno insistito che la politica monetaria dev’essere e restare «restrittiva» — cioè tale da frenare l’economia — e hanno confermato l’intenzione di alzare i tassi di un altro 0,5% il mese prossimo. Per il seguito però la Bce stavolta non si è legata le mani, come invece aveva fatto nel dicembre scorso. «In futuro le nostre decisioni sui tassi saranno guidate dai dati», ha detto Lagarde, e saranno «definite di volta in volta ad ogni riunione».

Molti nel mercato vi hanno letto, perlomeno, l’inizio della fine della stretta iniziata a luglio scorso. Vari fattori possono farlo credere. L’inflazione complessiva resta alta ma, grazie anche al calo rapido dei prezzi del gas, scende più in fretta delle attese e a gennaio in area euro era all’8,5% (in ottobre era al 10,6%). Soprattutto, gli operatori continuano a vedere la Bce come sostanzialmente al traino della Federal Reserve e di pari passo con la Bank of England. Mercoledì la banca centrale americana aveva rallentato il passo degli aumenti con un ritocco di 0,25%, lasciando intravedere una pausa nei prossimi mesi. Ieri la Bank of England ha portato i tassi al 4%, ma ha fatto capire che per ora potrebbe essere al suo ultimo ritocco. Anche la Bank of Canada ha detto che per ora ferma i rialzi del costo del denaro.

Il clima fra i governatori nel mondo sta cambiando. Per tutto questo i mercati hanno voluto sentire solo le buone notizie dalla Bce, come in dicembre sentirono solo le cattive. La realtà potrebbe essere più sfumata e la reazione degli operatori potrebbe essere stata, ancora una volta, eccessiva. Di rado del tutto padrona di una comunicazione chiara, ieri Lagarde ha accennato all’inflazione «sottostante» che — ha ricordato — «non si è mossa». In effetti l’indice «di fondo», senza i prezzi volatili di energia e alimenti, resta fermo al 5,2%. Sembra probabile che una maggioranza fra i 26 banchieri centrali del Consiglio direttivo voglia vedere un calo un po’ persistente di quell’inflazione «di fondo», prima di togliere il piede dal freno sull’economia europea. Possibile dunque che in maggio e giugno arrivino altri due rialzi dei tassi di 0,25% l’uno, prima di una pausa. Su quelli potrebbe esserci scontro nella Bce. Ma non sarà niente rispetto a quel che aspetta Lagarde se e quando l’inflazione sarà scesa molto, ma faticando a tornare al 2%. Per allora, fra circa un anno, la Bce dovrà scegliere se mollare la presa o continuare a comprimere a lungo sotto la sua pressione un’economia di area euro da oltre 11 mila miliardi di euro.

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