IMPEACHMENT E COLPO DI STATO, VLADIMIR PUTIN PUò ESSERE RIMOSSO?

Un capo di Stato ricercato in base a un mandato internazionale non è certamente l’ideale per un Paese; anche per la Russia che ufficialmente è sempre più stretta attorno al Grande Leader Vladimir Vladimirovich Putin. Ed è chiaro che l’attuale situazione rende difficilissimo, per non dire impossibile, avviare qualsiasi tentativo di mediazione e di apertura delle trattative per porre fine al conflitto. La piena approvazione da parte degli Usa e dell’Europa della decisione della Corte penale internazionale, vuol dire che nessuno dovrebbe dichiararsi disposto a sedere a un tavolo con il «ricercato» per negoziare. Ma se non si tratta con Putin, è possibile raggiungere un cessate il fuoco e avviare serie discussioni sul futuro dell’Ucraina e dei territori contesi? Certo, la situazione sarebbe diversa se a guidare la Russia non ci fosse più Vladimir Vladimirovich. Ma questo è uno scenario che ha un minimo di plausibilità?

Quale sarebbe la via più semplice e diretta per arrivare a un cambio al vertice della Federazione Russa? La Costituzione approvata nel 1993 (e scritta prendendo a modello quella francese e quella americana) prevede esplicitamente all’articolo 93 la possibilità che il presidente venga messo in stato di accusa e rimosso per alto tradimento o altre gravi accuse. La procedura non è semplicissima e coinvolge la Duma, il Consiglio della Federazione (Camera alta), la Corte suprema e la Corte costituzionale. Naturalmente occorre una maggioranza qualificata (i due terzi). L’impeachment fu tentato tre volte contro il predecessore di Putin, Boris Eltsin. Ma allora il Parlamento era controllato dall’opposizione, formata innanzitutto dal partito comunista. L’ultimo tentativo, nel 1998, si svolse in base all’attuale Costituzione ma anche in quel caso non si raggiunsero i voti necessari per procedere, trecento su 450 membri della Duma. Putin però, a differenza di Eltsin, controlla comodamente tanto la Duma che il Consiglio della Federazione. Il Parlamento, lo abbiamo visto in centinaia di occasioni, è a sua totale disposizione. E anche la cosiddetta «opposizione di sistema», cioè soprattutto i comunisti e i liberaldemocratici che vengono tollerati, sulle questioni rilevanti è sempre schierata con il Cremlino.

Il presidente potrebbe essere destituito dagli uomini che controllano i gangli del potere russo? Un colpo di Stato è in teoria possibile. Ma chi dovrebbe attuarlo? Nel 1991 i capi dei servizi segreti e dei ministeri “di forza” (quelli che dispongono di uomini armati) cercarono di rovesciare Gorbaciov. Ma i protagonisti del pronunciamento erano tutti avversari dell’allora presidente sovietico, vecchi membri conservatori dell’apparato comunista. E fallirono. Oggi la situazione appare ben diversa. Il potere è controllato da personaggi legatissimi a Putin. Alla vicepresidenza del Consiglio di sicurezza c’è Dmitrij Medvedev, collega di Putin al Comune di Leningrado che ha già dato prova di sé andando a occupare provvisoriamente per il suo amico la poltrona di presidente tra il 2008 e il 2012. Capo del servizio segreto interno (Fsb) è Aleksandr Bortnikov, collega di Putin al Kgb di Leningrado. Il servizio segreto estero Svr è controllato da Sergej Narishkin, anche lui proveniente dal Kgb di Leningrado. L’Interno è affidato a Vladimir Kolokoltsev che ha dimostrato la sua fedeltà alla guida della polizia di Mosca durante i disordini di piazza in occasione del ritorno al Cremlino di Putin. Alla difesa c’è un altro fedelissimo, Sergej Shojgu che viene da Tuva (con una madre ucraina) e che deve tutta la sua carriera recente unicamente al Capo. Gli esperti dicono che la vera eminenza grigia all’interno dell’élite che ruota attorno al presidente sia Nikolaj Patrushev, ex capo dell’Fsb, attuale segretario del Consiglio di sicurezza, che pure proviene dal Kgb di Leningrado. Patrushev nutrirebbe l’ambizione di far salire alla presidenza dopo Putin il proprio figlio Dmitrij, attuale ministro dell’Agricoltura, che viene spesso lodato pubblicamente dallo stesso presidente. Tutti allineati e coperti, come abbiamo visto. Ma in caso di svolte drammatiche sul piano economico e militare, alcuni di loro potrebbero voltare le spalle al leader. Patrushev con le sue ambizioni familiari; Shojgu per essere stato più volte umiliato per gli scarsi risultati della Operazione militare speciale; Narishkin che venne sbeffeggiato in diretta tv da Putin alla vigila dell’intervento in Ucraina.

E’ ipotizzabile un rovesciamento del regime con azioni dell’opposizione politica e con dimostrazioni di piazza? Al momento questa è un’ipotesi quasi del tutto irrealistica. Il presidente gode ancora del sostegno di più del 70 per cento della popolazione; L’opposizione è allo sbando o è scappata all’estero. Proprio negli ultimi giorni si sono registrati violenti scambi di accuse tra gruppi anti-Putin che sono quindi tutt’altro che uniti. Le leggi ferree varate in questi anni rendono poi impossibili massicce manifestazioni popolari. Le autorità sono invece in grado di mobilitare a breve termine centinaia di migliaia di sostenitori del potere da portare nelle strade, se mai fosse necessario.

Gli oligarchi, con tutti i loro soldi e i collegamenti politici, potrebbero organizzare un cambio di regime? Anche questa via al momento sembra lontanissima. Ai tempi di Eltsin, i proprietari dei grandi conglomerati industriali e delle materie prime avevano una fortissima influenza. Uno di loro, Vladimir Potanin, era addirittura vicepremier; Ma al suo arrivo, nel Duemila, Putin li mise in riga. Chi si opponeva, come Mikhail Khodorkovskij, finì in galera. Oggi chi era contro Putin è scappato all’estero o tenta di farsi notare il meno possibile. Quelli che contano veramente sono tutti legati a doppio filo al Capo. Vengono da Leningrado; erano vicini di dacia, amici d’infanzia o compagni di judo. I fratelli Kovalchuk, i fratelli Rotenberg, Gennadij Timchenko, eccetera. Poi ci sono i boiardi di Stato, come il presidente di Gazprom Aleksej Miller e quello di Rosneft Igor Sechin. Tutti questi senza Putin sarebbero finiti.

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