Stefano Borgonovo avrebbe compiuto 59 anni ieri, venerdì 17 marzo. Morì a giugno del 2013 a causa della Sla. Da quel giorno altri ex calciatori hanno perso la vita a causa di questa malattia, come Pietro Anastasi nel 2020. Secondo uno studio epidemiologico, presentato ad agosto dello scorso anno al meeting annuale dell’American Academy of Neurology di Philadelphia, il rischio di un calciatore di ammalarsi di Sla è di 6 volte superiore alla media. «Sono convinta che se Stefano non avesse fatto il calciatore non si sarebbe ammalato oppure gli sarebbe capitato ma in età avanzata. Invece è morto giovane perché ha giocato a calcio», le parole di Chantal, vedova di Borgonovo in un’intervista rilasciata a Il Giorno.
Tornano alla mente le morti recenti di Sinisa Mihajlovic (leucemia, 16 dicembre 2022) e Gianluca Vialli (tumore al pancreas, 6 gennaio 2023). Non c’entrano con la Sla, ma Chantal ne è rimasta colpita. «Tragedie che hanno riaperto vecchie ferite, mi hanno indotto a ulteriori riflessioni, mi hanno ricordato momenti drammatici. La Sla in particolare ha colpito negli anni troppi calciatori, sia più giovani o adulti. Lo dicono le statistiche e le ricerche più recenti. Se Stefano avesse fatto un altro tipo di vita, non si sarebbe ammalato. Purtroppo il perché e il per come non lo sa nessuno. Sono anni che attendo delle risposte. Quando Stefano giocava tutto ciò che riguardava la gestione sanitaria era affidata al medico sociale, di cui mio marito aveva fiducia. Non ha mai preso volontariamente farmaci strani, assumeva qualcosa solo sotto il controllo dello staff sanitario se prescritto», ha aggiunto Chantal.
Dopo le morti di Mihajlovic e Vialli tanti atleti hanno rotto il muro dell’omertà raccontando le proprie paure, la vedova Borgonovo incalza: «Una cosa è sicura, erano della stessa generazione di Stefano o di quella successiva, quindi si conoscevano avendo fatto lo stesso lavoro. Il calcio è un ambiente molto ristretto. Certamente hanno riaperto una questione che, però, vedo si è richiusa altrettanto rapidamente. Di sicuro dà fastidio parlarne, non so se dipenda da interessi economici o da altro. Ma è giusto ricordare che tutte le indagini su queste malattie sono state fatte da ricercatori che non appartengono al mondo del calcio. Dovrebbe essere un dovere sociale capire e rassicurare, invece non interessa».
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