U n ritratto molto affettuoso, quello dedicato a Gianni Agnelli a vent’anni dalla sua scomparsa, in cui i tre nipoti John, Lapo e Ginevra giocano un ruolo fondamentale; un ritratto che coinvolge parenti, amici, collaboratori, calciatori, operai e giornalisti per ricordare la Fiat, la Juventus, il potere degli affari, il rapporto con la politica, ma anche il gusto per la bellezza, i motori, la Ferrari, il culto della vela e dello sci.
Marco Durante, in collaborazione con Rai Documentari, ha prodotto «Gianni Agnelli, in arte l’Avvocato», scritto da Stefano Cappellini, Emanuele Imbucci e Dario Sardelli e diretto dallo stesso Imbucci (Rai3). Al di là degli aneddoti, spesso caricati di un’aura favolosa (l’eleganza, le battute, la spezzatura, le donne), delle vicende tragiche come dei pettegolezzi, la breve storia del capitalismo italiano si intreccia inevitabilmente con la storia degli Agnelli, di Gianni in particolare, secondo la celebre frase «ciò che va bene per la Fiat, va bene per l’Italia».
A differenze del documentario di Nick Hooker «Agnelli» della HBO, che ha rappresentato il punto di vista degli americani su una delle figure più carismatiche del nostro Paese, «Gianni Agnelli, in arte l’Avvocato» sembra un album di famiglia (molte immagini sono del Centro Storico Fiat), quasi un racconto privato attento non solo agli eventi importanti (la partecipazione alla II guerra mondiale, la presa del comando in azienda, la sfida al terrorismo con la decisione di non andarsene da Torino, la crisi della Fiat) ma anche ai risvolti più personali, quelli che di solito vengono rubricati come fatti di costume o di moda.
I famosi vent’anni in Costa Azzurra, che a molti sono parsi come una lunga vacanza mondana, in realtà gli sono serviti per costruirsi un’aura internazionale, per porre le basi del «personaggio», se non del mito. La testimonianza più curiosa? Quella di Michel Platini.
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